Sebbene esistano terapie di provata efficacia nella prevenzione secondaria dell’infarto, una buona parte dei pazienti non assume i farmaci secondo le prescrizioni mediche, e questa scarsa aderenza farmacologica comporta un aumento del rischio di mortalità e di ospedalizzazione.
L’obiettivo di uno studio condotto dal DEP Lazio è stato dunque quello di misurare l’aderenza alla poli-terapia cronica nei pazienti dimessi dall’ospedale con diagnosi di infarto miocardico acuto (IMA), e individuare eventuali fattori di rischio associati, con particolare interesse al setting di insorgenza dell’infarto (dentro o fuori dall’ospedale), valutando – grazie al sistema informativo regionale RAD-R - possibili differenze tra i livelli di aderenza.
Su 25.779 pazienti con diagnosi di IMA, 1.044 (4%) hanno avuto un infarto all’interno dell’ospedale. Complessivamente 15.440 (60%) pazienti sono risultati aderenti alla poli-terapia cronica. La probabilità di essere aderenti era influenzata negativamente dall’età avanzata, dal genere femminile, dalla presenza di disturbi mentali, malattia renale, asma e dalla presenza di trattamenti farmacologici concomitanti. Al contrario, i pazienti con una diagnosi di STEMI e quelli che già assumevano i farmaci E-B in studio hanno mostrato maggiori probabilità di essere aderenti. È stata inoltre osservata una forte associazione tra l’aderenza e il setting di insorgenza dell’infarto: i pazienti che hanno avuto l’infarto all’interno dell’ospedale hanno mostrato un 46% in meno di probabilità di essere aderenti alla poli-terapia cronica rispetto a quelli con un infarto avvenuto al di fuori dell’ospedale (OR 0,54; 95% CI 0,47 a 0,62; p<0,001).
I risultati dello studio forniscono evidenze su un gruppo precedentemente non identificato di pazienti a rischio di scarsa aderenza, che potrebbe beneficiare di una maggiore attenzione medica e di interventi sanitari dedicati.
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